Testimonianza di un’educatrice 

Quando tutto era “normale” mi è stato chiesto di seguire due bambine, di 8 e 9 anni. Il pomeriggio, dopo la scuola, facevamo i compiti insieme e  si giocava. Attraverso la condivisione del loro bisogno è iniziato un rapporto con le loro famiglie.

La “chiusura” di tutte le attività aggregative ha fatto venir meno questa modalità di rapporto.

Dopo un primo momento di smarrimento, ho pensato di continuare l’amicizia , telefonando alle loro mamme, perché questo piccolo gesto fosse segno dell’affezione che era nata per loro. Ma il bisogno da cui era nato il rapporto con loro, cioè quello di condividere lo studio, così non aveva risposta. Confrontandomi con i responsabili dei progetti educativi mi è stato suggerito di proporre alle bambine e alle loro famiglie di fare i compiti usando come “strumento” la video-chiamata. Ero titubante, perché questa proposta fatta implicava una decisione della loro libertà, cioè quella di “farmi entrare“ in casa loro, in un periodo dove tutti sono a casa e la quotidianità è “scombussolata”. Con mia grande sorpresa hanno detto di sì. Da alcune settimane all’ora stabilita ci colleghiamo e facciamo insieme i compiti. Un giorno con una e un giorno con l’altra. Mentre studiamo e ci facciamo compagnia, mi accorgo che questo abbraccio a loro è un abbraccio anche per i loro genitori che sono lì presenti e continuano la normalità della loro vita. Allora certo si fanno i compiti, ma si condivide anche quello che capita nella famiglia. E’ stato importante per me riscoprire questo aspetto dell’entrare nelle famiglie condividendo il bisogno dei figli, ma accorgendomi che anche i papà e le mamme chiedono una compagnia, così come sono, per la loro esistenza e per quello che in questo momento sta accadendo a loro.